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Due diligence, lo strumento indispensabile nelle acquisizioni d’azienda

Due diligence, lo strumento indispensabile nelle acquisizioni d’azienda

Quando un’impresa passa da un proprietario a un altro ci sono molti accertamenti da fare. La verifica su possibili criticità riveste un’importanza particolare.

Se vi trovate ad acquisire un’azienda, con la sua storia, il suo fatturato, la sua dirigenza, la sua manovalanza, sono parecchi gli aspetti di cui tenere conto, soprattutto se volete mantenerla attiva nel migliore dei modi. Le indagini da svolgere, dunque, devono procedere nella direzione del rispetto dell’operato dell’impresa, sebbene non debba mai mancare la giusta attenzione per le questioni legate agli eventuali punti deboli insiti nella struttura amministrativa od organizzativa. Anche e soprattutto a questo serve la due diligence, preziosa, minuziosa e circostanziata verifica che evita spiacevoli sorprese a trattativa avanzata o, peggio, conclusa. Cerchiamo quindi di conoscere meglio i meccanismi di tale utile processo.

Per cominciare: cosa vuol dire?

Il termine due diligence deriva naturalmente dalla lingua inglese, anche perché indica una pratica diffusasi inizialmente tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Tradotto alla lettera suonerebbe più o meno come “diligenza dovuta”, ovvero un richiamo agli obblighi di correttezza che dovrebbe osservare un’impresa che sta per essere inglobata da un’altra. In pratica, è la valutazione tecnica dell’impresa in oggetto in vista di una possibile acquisizione da parte di un compratore, che quindi ha tutto il diritto di controllare se i conti sono a posto, se ci sono pendenze economiche sconvenienti, se le attrezzature sono in regola e funzionano, e via enumerando.

Ciò che emerge contribuisce a stabilire il valore complessivo dell’attività. Di conseguenza, riuscirete a determinare la fattibilità della transazione che intendete realizzare, se ci sono ostacoli capaci di intaccare l’esito positivo dell’operazione, se dietro al rischio c’è comunque un buon affare. Si tratta anche della strada migliore da percorrere per negoziare adeguatamente il contratto. Oltretutto, l’acquirente, a ragion veduta, ha così diritto di pretendere qualche garanzia supplementare, mentre sul venditore gravano le responsabilità di eventuali omissioni, riguardanti situazioni di debito non considerate o non dichiarate.

A livello di finalità, diciamo così, propositive, la due diligence vi aiuta a decidere se è il caso di effettuare un’acquisizione da soli o in società (mantenendo comunque la maggioranza dei titoli, ma insieme a una minoranza affidabile), se è opportuno pianificare operazioni extra, quali scorporamenti o fusioni organizzare, se è interessante per il nuovo proprietario quotare in borsa o accrescere il capitale. C’è anche da specificare, però, che ogni trattativa del genere avviene in contesti radicalmente diversi (a volte, per esempio, il venditore rimane nell’organico dell’azienda che sta cedendo), per cui non esistono delle regole universali: bisogna valutare ogni variabile, secondo i casi.

La due diligence per la legge e sotto altri aspetti

È bene sapere che la due diligence, da applicare durante l’iter dell’acquisizione di un’azienda, è un accorgimento opportunamente previsto dai codici del mercato, ma non sussiste unicamente sotto un profilo legale. Infatti, proprio in tale frangente la sua applicazione in altri campi si rivela un termine di paragone assai utile, soprattutto quando si osservano le dinamiche delle strategie commerciali, dei rapporti con le banche e con la contabilità in generale, del rispetto dell’ambiente, delle tasse.

Da ciò deriva una considerazione di rilievo: i metodi di questo tipo di verifica, pur perseguendo scopi simili e rispondendo a logiche analoghe, possono in effetti variare nelle sfumature in base a ciò su cui si indaga. Per esempio, c’è differenza tra l’esaminare l’intero volume d’affari di un’attività (dove interessa principalmente capire quanto convenga investire, quali sono i benefici concreti, quanto verrebbe a costare, a quali rischi si va incontro e quanti di questi possono essere aggirati) e studiarne soltanto una sezione o due, ovvero quelle che interessano di più sul momento (dipende anche dalla natura dell’azienda) o a proposito della transazione che si intende portare a termine; ed è su questo versante che ci si può servire proficuamente della due diligence declinata in altro modo, concentrandosi appunto su aspetti finanziari o ecologici.

C’è poi un altro aspetto di un certo peso, ed è quello che riguarda le circostanze in cui la verifica viene eseguita (che chiaramente sono in grado di influenzare le sue modalità): quando, per dire, contrattualmente si aggiunge la fusione all’acquisizione, bisogna capire se quest’ultima era già stata sancita da un accordo preliminare (se non addirittura da un documento definitivo).

In tali situazioni si distinguono perciò due tipi di “sondaggio”: la pre-acquisition due diligence, da effettuare prima che si concluda l’affare, che serve a consolidare la volontà d’acquisto di un imprenditore (e, qualche volta, a farlo desistere) attraverso la piena comprensione della situazione patrimoniale e dello stato economico in generale dell’azienda che vuole inglobare, a mostrargli la preparazione dei lavoratori e dei quadri, a fargli scegliere le vie giuridiche migliori per procedere ottenendo gli indennizzi e le garanzie più appropriati, a stabilire un prezzo idoneo; e la post-acquisition due diligence, che per la verità è meno praticata, adatta ad appurare gli aspetti più squisitamente inerenti ai numeri, tanto che nei casi più gravi – quando cioè emergono incongruenze preoccupanti – dà la possibilità, attraverso il cosiddetto price adjustment, di correggere l’offerta (aumentandola o, più spesso, diminuendola), o addirittura di non firmare le versione finale del contratto o di rescinderlo.

La prima tipologia è caratterizzata inoltre dal fatto che vi può prendere parte un certo numero di potenziali compratori in “gara” fra loro (è il motivo per cui si parla di “acquisizioni competitive”), ai quali, come prevedono le regole della data room (spiegheremo più avanti cos’è), è parimenti messa a disposizione la documentazione afferente all’oggetto del loro interesse, in modo che non ci siano diseguaglianze o vantaggi; a ogni modo, non è un assetto scontato: ci può anche essere un solo “candidato”, il che comunque semplifica ogni aspetto burocratico.

Non c’è bisogno di sottolineare che la verifica si articola pure a partire dalle esigenze di chi la commissiona (l’acquirente in pectore, quindi): può trattarsi di un soggetto più o meno facoltoso, al quale premerà in particolar modo di controllare alcuni aspetti dell’attività del cedente. A proposito di quest’ultimo, a volte, per non dire spesso, si serve di un advisor (o perfino più di uno) per moderare le acquisizioni competitive.
Costui è preposto a velocizzare le indagini, possibilmente preparando a priori una due diligence da presentare a chiunque si avvicinasse all’acquisto, così da dare un quadro abbastanza esauriente della situazione. Nel momento in cui l’offerente resta uno solo (chiamato in gergo selected bidder), questi ha allora facoltà di sviscerare le questioni che ritiene necessarie attinenti al target. Infatti, tranne nella rara eventualità in cui l’esecutore della verifica incaricato dal venditore abbia una buona reputazione nell’ambiente e dunque sia ritenuto affidabile dal compratore, quest’ultimo si riserva lo stesso il diritto di incaricare qualcun altro per estendere e approfondire quanto già dichiarato. Insomma, nella maggior parte delle situazioni si ricomincia daccapo…

Dobbiamo tra l’altro darvi conto di un’ulteriore possibilità, quella delle offerte pubbliche di acquisto definite “ostili”.
Succede prevalentemente quando le società che interessano hanno una quotazione in Borsa: poiché di frequente queste non mettono a disposizione (talvolta di proposito) i loro dati sensibili, non si può far altro che cercare informazioni tramite fonti diverse, pubbliche o perlomeno distanti dall’“opaca” azienda sotto osservazione. Vi parrà strano, eppure gioca un ruolo non indifferente persino il posto, ossia il luogo fisico nel quale dipanare il processo di due diligence.

La consegna delle documentazioni di solito si svolge, per scelta dell’acquirente, all’insegna di un’apertura “nemica” di ogni possibile sotterfugio da parte del target, il quale ha ugualmente diritto di avanzare qualche esigenza di riservatezza. In effetti, la sede migliore per un corretto e immediato passaggio di informazioni rimane quella in cui opera il venditore, anche perché lì si presuppone un’assoluta disponibilità dei documenti. Ma c’è il rischio che simili visite in “casa” del cedente (che, dal canto suo, non è detto che abbia per forza qualcosa da nascondere) possano indisporlo e di conseguenza pregiudicare la serenità delle operazioni. Per questo motivo ci sono le data rooms.

Come funziona una data room

Si tratta di una stanza adibita a ufficio che si trova all’esterno delle società entrate in contatto. Qui vengono trasferite per intero le documentazioni utili allo scopo. Per tranquillizzare le parti, gli spazi in questione sottostanno a delle serie regole, esposte a monte. Una di queste, se la si vuole applicare, pone un limite al numero di persone (riconoscibili) che hanno facoltà di entrare nella sala; inoltre, non si possono produrre fotocopie delle carte in circolazione, a meno di chiedere un formale permesso. Qualcuno se lo sarà già immaginato: oggi ci sono anche le data rooms virtuali, che prevedono l’inserimento dei carteggi mediante sistemi informatici, custoditi da server saldamente protetti e accessibili dal web (se si hanno gli appositi codici).

La due diligence di stampo legale, in sostanza, occorre, esaminate tutte le componenti (da quelle fiscali a quelle finanziarie), a individuare il modo più efficace, da un punto di vista giuridico, e vantaggioso per acquisire un’azienda. Non si diventa proprietari solo attraverso le partecipazioni, ma anche prendendo possesso di patrimonio e attività. Quando l’impresa ceduta (o parte di essa) confluisce all’interno del capitale dell’acquirente, la faccenda è conclusa. Se si dispone di una due diligence preventiva si dovrebbe avere già un’idea di massima della società “obiettivo”.

È il punto di partenza per tirare le prime somme e formulare un’offerta “proporzionata” alle informazioni ricevute, magari proponendo anche delle garanzie nel contratto. D’altronde, è un buon “paraurti” pure per chi vende, poiché la controparte non può appellarsi al riconoscimento di qualche irregolarità o della qualità scadente spacciata per ottimale di ciò che sta per comprare: in genere, l’indagine proviene proprio da lei.

Insomma, l’analisi “anticipata” fa risparmiare tempo e indesiderabili inasprimenti della trattativa, nel segno, al contrario, della buona volontà, dell’onestà e dell’assolvimento dei propri obblighi. Sicché, da qui discendono i sale and purchase agreements, vale a dire gli accordi preliminari di acquisizione. Prima del closing, ovvero il termine entro il quale il contratto va chiuso, si stipula una bozza che ha comunque valore legale e commerciale. Il passaggio di proprietà, tecnicamente chiamato completion, è effettivo quando sono soddisfatte alcune condizioni (si parla quindi di condition precedent). E di solito è compito del venditore soddisfarle. Che può succedere, insomma?

È necessario che l’azienda acquisita non riservi nulla di sgradito, ad affare concluso. Per esempio, non devono venir fuori diritti – magari fin lì taciuti – di terzi soggetti, a mancate autorizzazioni o incombenti revoche di concessioni, o clausole da onorare riguardanti i cambi di “timoniere”, che renderebbero impossibili il proseguimento dell’attività. Ma ci sono anche degli impedimenti imprevedibili, non contemplati perfino dal più minuzioso dei regolamenti. Fortunatamente la due diligence prevede la compilazione di una serie di dichiarazioni e garanzie (representations and warranties per gli addetti ai lavori): altre clausole, in realtà, a tutela dell’acquirente.

Utilità e conseguenze

La due diligence ha una struttura precisa. Ve la illustriamo qui di seguito.

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L’organizzazione della società-obiettivo > Inquadrare il target sotto il suo funzionale profilo giuridico nonché patrimoniale è il primo passo da fare. Serve non solo a comprendere la composizione sociale dell’azienda da acquisire, ma anche qual è il suo tipo di produzione. Dunque da tale approccio devono emergere con facilità i dati riguardanti la corretta denominazione, l’esatto codice fiscale, l’ubicazione della sede legale, la regolare iscrizione presso il Registro delle Imprese e i documenti costitutivi, con annesse eventuali limitazioni relative alle partecipazioni.

Per l’appunto, è fondamentale chiarire qual è l’esatta composizione della società, soprattutto se ci si avvia a rilevarne solo una parte; poi, è meglio che siate sicuri che dietro l’angolo non ci siano delle modifiche prestabilite dai proprietari uscenti, come un aumento di capitale. Imparare a “conoscere” i soci significa palesarne i rapporti e gli eventuali patti interni.

Gli organi, in pratica, vanno esaminati a uno a uno, individuandone i componenti, annotando quali sono le loro cariche e qual è la loro durata; tornano utili perfino i dati sugli stipendi. Bisogna sapere quale sistema è stato adottato, sia sul versante amministrativo che su quello dei controlli. In più, uno studio non superficiale dei registri aiuta a farsi un’idea più precisa delle attività portate a compimento dall’azienda in vendita.

Quelle straordinarie riservano d’abitudine elementi particolarmente eloquenti. Quanti più anni d’attività si riescono a “esplorare” retroattivamente, meno fallaci saranno i risultati. Gli obblighi nei confronti del Registro delle Imprese (bilanci depositati, nomine ufficializzate, l’esistenza di ruoli direttivi e coordinanti e di un unico socio) devono essere inequivocabilmente adempiuti; è importante.

Scattare delle fotografie alla struttura e agli organigrammi fornisce con immediatezza una visione d’insieme, anche per quel che riguarda le gerarchie e le deleghe.

Per cominciare l’indagine nella maniera migliore, comunque, è opportuno avere:
1)    visura camerale, possibilmente aggiornata, da cui desumere dati basilari quali nome della società, sua forma giuridica, sede, anno di nascita, oggetto e, per quanto riguarda i suoi organi, la lista con mansioni e durata dell’incarico, i nomi dei rappresentanti e degli amministratori (dati da paragonare a quelli contenuti nei libri dell’impresa);
2)    il registro concernente la compagine sociale, dove è possibile trovare, se ce ne sono, pendenze o pegni sulle partecipazioni (o addirittura già dei pignoramenti), il tutto da mettere a confronto con i documenti sulle azioni e sugli spostamenti di denaro;
3)    lo statuto in vigore (nonché l’atto di costituzione), per trovare fra le clausole eventuali inghippi (magari a favore di qualche socio) che potrebbero impedirvi di concludere l’affare;
4)    possibili accordi interni o sindacali, con particolare cura rispetto alla corporate governante, limitazioni nelle partecipazioni;
5)    i libri sui bilanci e tutti quelli che, in generale, consentono di informarsi sull’amministrazione, sul collegio sindacale, sui revisori, sulle cifre, sui conti e su possibili extra, sulle deleghe, sulle ripartizioni, sul rispetto delle leggi e dello statuto, sugli ammanchi.

Il patrimonio della società-obiettivo > Come sapete, il patrimonio di una società comprende anche i beni immobili. L’elenco di questo tipo di proprietà deve essere preparato ordinatamente e senza ambiguità dall’azienda target, corredato di atti che ne attestino la provenienza, di concessioni edilizie, di certificazioni del catasto e documenti che dimostrino la destinazione urbanistica, specificando se qualcuno degli edifici è stato sede, in passato o ancor oggi, di impianti inquinanti. Può capitare che sia necessario ricorrere a qualche archivio per ottenere con certezza simili informazioni, così come per sapere se su dette costruzioni gravano ipoteche o altro tipo di oneri. Sono aspetti sui quali non è consigliabile scherzare: se si sciolgono per tempo, i nodi poi non vengono al pettine. Riguardo ai beni mobili, si deve porre attenzione alle attrezzature e alle macchine: va stabilito a chi appartengono e quali sono le loro condizioni attuali.

Notazioni sui contratti > Anzitutto, abbandonate il proposito di radunare ed esaminare tutti i contratti stipulati dall’azienda che state per acquisire nel corso della sua – di solito lunga – esistenza: non ce n’è il tempo. Piuttosto, è opportuno fare una cernita e isolarne determinati tipi, sicuramente più utili per giungere a una gestione ottimale della società che state rilevando (nonché per comprenderne l’andamento). Vanno pure individuate le commesse “voluminose” e quelle durature, anche per rendersi conto se si tratta di sfide che potete raccogliere abbastanza agevolmente. D’accordo, ma come fare questa scelta senza metterci comunque un’eternità?

Meglio avere delle intenzioni assai chiare ancor prima di accostarsi a montagne di scartoffie: se la catalogazione è decente, non sarà troppo difficile decidere su quali binari muoversi e sull’esame di quali generi di lavori effettuati dal venditore sia il caso di puntare direttamente. Alcuni criteri possibili: contratti superiori a un determinato importo, di imminente scadenza (o a tempo indefinito o comunque per un lungo periodo, oppure addirittura stralciati), di evidente importanza. Ulteriore motivo di “caccia”: potrebbe esserci qualche stipula che prevede l’interruzione dei rapporti di lavoro qualora si verificasse un cambio di dirigenza o di proprietà.

La due diligence in tal caso è votata ad accertare la legittimità dei contratti (con relative clausole), a informarsi, anche attraverso la consultazione della relativa corrispondenza, sugli obblighi accumulati dall’azienda target (e se li ha onorati), a individuare possibili postille di vario tipo (perfino penali o con diritto di recesso) che comportino ingenti esborsi teoricamente a carico del venditore (quindi fattori che potrebbero perfino mandare a monte la trattativa). Non bisogna in alcun modo trascurare gli aspetti inerenti alle relazioni, sancite da contratti con soci esterni ma anche all’interno del medesimo gruppo, che si occupa dell’azienda che si sta per acquisire. Non è raro che i rapporti di questo genere comportino un giro d’affari di crescente ampiezza che possibilmente il compratore non intende riconfermare in alcun modo, anche perché si parla spesso di società che fanno comunque riferimento al venditore. Rintracciare i contratti che regolano tali movimenti e risolverli (mediante le condizioni previste) è perciò imprescindibile.

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Sicurezza sul lavoro > È un punto tanto delicato quanto vitale. È assolutamente necessario controllare che le norme sugli infortuni, sui grossi incidenti e, in generale, sulla salute dei lavoratori, siano state completamente rispettate dalla società in via di acquisizione. Prevenire le disgrazie è sinonimo di garanzia di serenità per gli operai. A causa dei luttuosi eventi purtroppo avvicendatisi negli ultimi anni, sono state emanate norme molto precise, la cui mancata applicazione ricade ormai direttamente e duramente su chi amministra, e parliamo di responsabilità penali. Anche in assenza di incidenti, contravvenire alle leggi riguardanti questa materia significa rischiare parecchio. Quindi, la domanda è: l’azienda target dispone di un idoneo sistema di deleghe? Se sì, quali sono i suoi meccanismi? Sono i documenti che trattano gli aspetti testé menzionati quelli che dovete assolutamente avere sottomano: i verbali, le procure, gli atti che riportano le nomine dei responsabili della sicurezza (e, dove c’è, del medico), le procedure interne, il servizio che si occupa di sicurezza e prevenzione. Inoltre, sono previsti dovunque dei corsi di formazione specifici per i dipendenti: sono stati effettuati? È comprovato? Dove? Esistono delle verifiche periodiche messe per iscritto? Tutto regolare, quindi? Meglio che non abbiate dubbi in tal senso!

Autorizzazioni, rispetto ambientale, pubblica amministrazione > Una società in procinto di essere acquisita avrà destato l’attenzione di chi intende rilevarla per cause legate alla natura della sua produzione. Capita che alcune attività siano frutto di concessioni, magari legate ad autorizzazioni che vanno rinnovate a intervalli regolari; talvolta si devono mettere in conto pure iscrizioni a registri specifici o a qualche albo. Insomma, l’attenzione va intensificata in quei casi in cui è il pubblico a consentire al privato di occuparsi di un preciso settore, nel quale magari intervengono questioni di impatto ambientale o di rilascio di permessi.

E qui entra in gioco ancora una sfaccettatura della due diligence, che, condotta adeguatamente, può riconfermare l’attività – possibilmente consolidata – della società da acquisire. Ci addentriamo dunque in un altro sentiero sdrucciolevole: sono in corso accertamenti di questo tipo sull’azienda in esame? Le sono già state inflitte delle multe per infrazioni del genere?
Tutto questo deve risultare chiaro.

Quando l’acquisizione comprende – perfino indirettamente – strutture industriali, intese sia come aree adibite effettivamente (o anche solo teoricamente) allo scopo, sia grandi impianti, è indicato testare lo stato di contaminazione della zona, comprendere quali ne sono le cause (in corso o precedenti) e intervenire in base alle norme, immaginando addirittura un loro non improbabile inasprimento per l’avvenire. È di nuovo un caso in cui si prescrive che a rispondere di eventuali violazioni saranno gli amministratori a cui è stata delegata la responsabilità. Che, inutile sottolinearlo, è sempre penale.

A ogni modo, è opportuno pure sincerarsi che non ci siano già procedimenti in corso o bonifiche da effettuarsi (se non già effettuate). Esistono comunque dei casi di due diligence ambientale, che è anzi un tipo di indagine specifica perfino necessaria, a complemento di quelle più generiche, soprattutto quando si parla di natura. Non ci vuole solo la documentazione tecnica, in ogni caso; bisogna pure esaminare i rapporti tra l’azienda e le autorità. Ormai dal 2001 viene valutata la responsabilità amministrativa anche delle cosiddette persone giuridiche, ovvero gruppi industriali, enti e affini, per quanto riguarda alcuni reati; in caso di contestazione, si deve dimostrare di avere quantomeno predisposto un sistema di gestione e di controllo atto a evitare le violazioni, al quale vanno aggiunti un servizio di sorveglianza e la diffusione di informazioni sul tema al personale.

L’aspetto finanziario > C’è una rete di rapporti che va inquadrata e compresa, quella biunivoca attinente agli scambi di fondi tra l’azienda che si sta per acquisire e altri soggetti, che di solito sono istituti di credito o finanziari, enti nazionali o comunitari, soggetti terzi o perfino soci afferenti al gruppo di cui fa parte l’azienda. È opportuno indagare su contratti passati (ove possibile) e presenti, nonché sulla corrispondenza relativa a tali movimenti, per comprendere se sono intervenute modifiche nei rapporti che potrebbero condurre a qualche ostacolo. Contestualmente, è necessario orientarsi pure fra le garanzie (il loro valore e il loro peso giuridico) di qualsiasi tipo, che l’azienda potrebbe avere rilasciato a società partecipate o controllate, o ad altri, nonché a banche e simili; c’è anche la possibilità inversa, quella di garanzie rilasciate alla società in esame, che potrebbero farla vacillare qualora venissero revocate o scadessero. Sono situazioni rintracciabili in lettere specifiche (a volte con valore di fideiussione) che vanno studiate attentamente.

Brevetti come indicatori > Stiamo trattando un ambito che prevede pure proprietà intellettuali e industriali, che possono essere semplicemente ricondotte ai brevetti e alle licenze di cui si serve la società da rilevare. Qualche volta l’azienda sarà titolare unica dell’uso di una determinata apparecchiatura o di un sistema sperimentato, qualche altra avrà ottenuto una concessione per farlo (ma esistono anche le sub-licenze e i permessi di sfruttamento, riconducibili alla proprietà industriale). Anche il marchio è materia su cui soffermarsi: è stato registrato? E se è così, si tratta di un atto nazionale o internazionale?

Nell’ambito giuslavoristico > Davvero preminenti sono le questioni legate ai lavoratori, la cui forza ha permesso all’azienda in acquisizione di andare avanti. E non si intende soltanto la manodopera, ma anche gli operatori esterni vincolati da rapporti contrattuali. Una lista dei dipendenti (con la sottolineatura dei nomi assunti per obbligo) deve comprendere dati anagrafici, anzianità di servizio, termini di preavviso (sia nel caso del licenziamento che delle dimissioni). Inoltre, a parte i salari, devono essere reperibili le notizie sulle assicurazioni (anche extra), sul TFR finora disponibile, sull’inserimento in particolari piani pensionistici, su accordi aggiuntivi di vario genere, sugli straordinari e, in generale, sulle modifiche al personale (con previsioni di cassa integrazione o misure analoghe).

Il principio è quello di constatare se l’impresa finora abbia rispettato le regole o non stia per incorrere in qualche pesante sanzione per violazione di contratti collettivi o di normative speciali interne. Ci sono poi dei contratti individuali, quelli dei key managers, ovvero le figure – ben pagate – che nell’organigramma aziendale occupano posizioni importanti e vanno di conseguenza “maneggiati con cautela”, allo stesso modo degli organismi sindacali e di tutto ciò che gravita loro intorno.

Bisogna essere prudenti anche con i singoli contenziosi in corso, soprattutto perche possono generarne altri. Pure per questo motivo si cerca di dedicare opportuna attenzione alle collaborazioni cosiddette atipiche, cresciute di numero a causa della necessità delle aziende di operare a tutto tondo, trovando spazio pure per agenti, concessionari, intermediari, consulenti e varie altre categorie di outsourcing (quando si sfocia nell’esternalizzazione vera e propria). In effetti, il passaggio di proprietà da un titolare all’altro si muta per molti di loro nella richiesta di indennità o nella pretesa di essere riconosciuti come lavoratori subordinati.

La privacy, altra questione spinosa > Si tratta di un ambito che adesso non prevede soltanto provvedimenti amministrativi, ma anche penali. Ciò significa che i dati personali dei dipendenti e dell’azienda devono essere tutelati nel più efficace dei modi. I più esposti a rispondere delle falle di tale sistema sono naturalmente il responsabile della conservazione dei database, l’impiegato che si occupa di custodire le password, l’amministratore informatico, il supervisore e i suoi assistenti. Di tutti bisogna testare l’attività, compresi chi li ha nominati e chi intrattiene rapporti con il garante della privacy. Inoltre, si devono reperire le eventuali informative sul tema (da diffondere all’organico).

La concorrenza e l’antitrust > Una due diligence legale che si rispetti, non può e non deve tralasciare gli aspetti relativi alla concorrenza sleale, dei quali si occupa l’antitrust. La questione in tal caso è: l’azienda target è mai stata oggetto delle attenzioni di tale importante organo? In quali termini? Con quali esiti? Ha avuto a che fare, in alternativa, con i corrispettivi controllori europei o mondiali? La tranquillità del processo di acquisizione passa pure da qui.

L’eventualità del contenzioso > Ci sono contenziosi, detti “passivi”, che possono rivelarsi una vera grana in un processo di acquisizione. Qualora nel passato o nel presente dell’impresa in esame ci siano dei sospesi del genere capaci di creare, appunto, una passività che ricade sull’azienda, è compito di chi sta conducendo una minuziosa due diligence trarre tutte le informazioni in merito, soffermarsi sulle controversie giudiziarie tuttora in bilico, sui procedimenti consimili, sulle ispezioni e su qualsiasi altra noia nella quale il target si sia imbattuto, anche fuori dall’Italia.

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Ovviamente, dovrebbe essere il medesimo soggetto in esame a mettere a disposizione uno schema contenente tutte le eventuali cause in corso che lo riguardano, completo di dati sulle parti coinvolte, sui motivi che hanno condotto alla controversia (e a che punto si trovi quest’ultima), sulla “posta in gioco”, su chi giudica. Inoltre, andrebbero descritti brevemente i fatti e indicate le possibilità di vittoria secondo gli esperti che l’azienda ha chiamato per dirimere le questioni.

Una caratteristica fondamentale: la riservatezza

La due diligence comporta un’assoluta discrezione da parte di chi la porta avanti. Purtroppo, come vi sarà facile immaginare, non è affatto facile, malgrado i vincoli a cui sono sottoposti gli “indagatori”, anche perché è difficile punire delle trasgressioni del tutto complicate da provare. La faccenda, a pensarci bene, è intricata: ci sono un potenziale acquirente e un proprietario che ha deciso di vendere; il primo è concorrente del secondo, prende tutte le informazioni possibili e poi, per un motivo emerso dai numerosi controlli o perfino pretestuosamente, decide di fare un passo indietro, avendo però nel frattempo ricevuto un’infinità di dati interessanti su un avversario commerciale.

È il comprensibile motivo che porta alcuni venditori a tenersi abbottonati almeno su alcune informazioni, come i piani a lungo termine, i brevetti e i segreti di lavorazione, le liste contenenti fornitori o clienti. D’altronde, ci sono dettagli che tendono spontaneamente a rimanere fuori da queste logiche che a qualcuno potrebbero apparire addirittura semi-inquisitorie (per esempio l’incidenza delle assenze per malattia dei dipendenti), ma non sono rari i casi in cui sussistono degli obblighi contrattuali che impediscono la comunicazione di alcune voci specifiche. Tuttavia, prima di addentrarsi nei particolari, il venditore accetta di attenersi alla check list che gli presenta il compratore, nella quale non si trovano unicamente i bilanci, ma anche ulteriori elementi ritenuti utili allo scopo, che vanno – come abbiamo già detto indirettamente – dalla contabilità alla posta.

È pur vero che l’esecutore è tenuto al segreto professionale, mentre il titolare dell’azienda che acquisisce si impegna, nella lettera che firma, al cosiddetto non disclosure agreement; però non c’è nessun’altra garanzia in merito, e dai carteggi vengono chiaramente fuori – per dirne una – i nomi dei fornitori, nonché dei debitori e dei creditori. Un cruccio che potrebbe essere risolto incaricando l’esecutore di farsi pure garante del trattamento; ma al venditore stesso non conviene creare sospetti inutili ponendo dei limiti al normale svolgimento di un’indagine che, così facendo, rischierebbe addirittura di smarrire la sua ragion d’essere. Il classico cane che cerca di mordersi la coda. Inoltre, cosa può comunicare l’esecutore al committente in assenza del venditore? Ci sono dei dati che riguardano normali procedure economiche, e quindi probabilmente non sono secretati in quanto non personali (è ancorché opinabile, e in caso di errore parte della colpa ricadrebbe sul “permissivo” venditore), ma in altri frangenti come fare? Chiedendo il consenso?

È un controsenso (con tanto di bisticcio di parole). Bisognerebbe stabilire dei limiti a priori, e non è affatto semplice, anche perché i codici sul tema (ce n’è uno specifico sulla privacy) sono alquanto interpretabili. Come se non bastasse, alcuni documenti sono parzialmente vincolati da accordi d’altro genere. Alla luce di ciò, una possibile soluzione sarebbe quella di prepararne delle copie in cui nomi e dati sensibili siano oscurati.

L’aiuto di risorse esterne

Anche per i motivi esposti più sopra, non è sempre conveniente, da parte del committente, incaricare una o più sue risorse dell’indagine conoscitiva di cui ci stiamo occupando, la due diligence legale. In qualche situazione, nella fattispecie quella di un evocabile conflitto d’interesse o del sincero bisogno di una valutazione indipendente (ma non è escluso che in seno al proprio team manchino gli esperti), ci si può rivolgere a consulenti esterni, come supporters o perfino per condurre l’intera indagine.

Certo, ci sono casi in cui non se ne può fare a meno: una squadra di notai sarà sempre più puntuale e veloce dei contabili d’impresa nello spulciare i registri immobiliari per determinare con precisione il patrimonio dell’azienda da acquisire. Tra l’altro, quando si ricorre a un aiuto del genere, è meglio spartirsi i compiti e le responsabilità (specie quelle del committente) fin dall’inizio. Soprattutto, sono da escludere le success fees, ovvero i pagamenti a risultato conseguito: i veri professionisti non le accettano, quelli improvvisati rischiano di farsi influenzare e di sminuire le criticità e diventare eccessivamente “buoni” con l’azienda che devono passare al setaccio.

Sviluppo della ricerca in tre fasi

Riassumendo, ci sono in pratica tre steps in un lavoro di due diligence. Il primo passo è la fase preliminare, seguito da uno operativo (che si svolge nell’azienda in vendita o in una data room) e da quello finale, vale a dire il back office, che equivale alla stesura del rapporto finale. Cominciamo dall’inizio, dunque: al di là delle formalità eventualmente proposte dal venditore, che come già sapete può presentare la sua “indagine”, si stende una check list, che varia ovviamente di compravendita in compravendita. La sua compilazione è strettamente connessa alla documentazione offerta dall’azienda target. Quindi, si passa alla fase operativa, con l’esecutore o gli esecutori impegnati a collezionare informazioni, talvolta ascoltando i dipendenti dell’impresa in esame o facendo loro riempire un’apposita scheda.

Se manca qualcosa, chi conduce la due diligence ne farà richiesta; se i dati desiderati non sono visionabili o reperibili, se ne tiene conto nella lista dei punti negativi. Il momento di tirare le somme è quello del due diligence report, nel quale andranno inserite impressioni e considerazioni derivanti dall’attento studio dei documenti. In altre parole, si gettano le fondamenta della trattativa, mettendo in evidenza i pericoli e i vantaggi del passaggio di proprietà. La relazione non sarà per forza minuziosa: può limitarsi a esporre i pro e i contro della nascente transazione; viceversa, può illustrare una disamina suddivisa per settori.

La parte interessante riguarda comunque le proposte per fronteggiare i rischi emersi. Il rapporto di solito si rifà all’ordine dei punti proposti nella check list, approfondendo gli aspetti affiorati a ogni singola verifica.
In realtà, si distinguono essenzialmente tre aree all’interno della due diligence legale:
1) informazioni generali sulla struttura della società;
2) rapporti economici di maggiore importanza sviluppati dall’azienda;
3) notizie su possibili contenziosi, già avviati o in prospettiva.

La prerogativa principale, a ogni modo, resta quella di evidenziare i difetti dell’azienda da acquisire, le sue nebulosità, gli aspetti poco chiari e quelli insondabili a causa della mancanza di carteggi appositi. Chi redige non deve mai perdere di vista l’oggettività ed evitare le influenze personali; solo così la due diligence può assumere il valore di punto di riferimento. Oltretutto, il più delle volte questo documento viene presentato in due versioni, una estremamente concisa, chiamata executive summary, contenente comunque i punti salienti dell’analisi e assai utile per reperire gli argomenti di cui discutere; l’altra più dettagliata (che poi è il rapporto propriamente detto). Una volta che le criticità sono identificabili, il committente, al fine di concludere felicemente la transazione, ha facoltà di chiedere al venditore di intervenire, nei limiti del possibile, almeno su qualcosa. Contemporaneamente, il cedente ha modo di ottenere delle garanzie dall’acquirente. Nella versione estesa, oltre ai problemi (con proiezioni sulle perdite) e alle soluzioni suggerite (quando ci sono), troverete la lista delle verifiche fatte.

Ultime considerazioni

Avrete compreso che le implicazioni sono tante. La due diligence è il “lavoro sporco che qualcuno deve pur fare”, meno affascinante e più estenuante della negoziazione in sé. Ci vuole una buona dose di pignoleria per portarlo a termine, gli inciampi non mancano di sicuro, talvolta è inviso a entrambe le parti e può scombinare equilibri già precari.

I punti deboli dell’azienda da acquisire non risultano sempre chiari. Tra l’altro, imporre le proprie perplessità all’interno di una transazione può rivelarsi scomodo: un manager che ha fretta di aggiungere prestigio alla sua impresa è capace di sottovalutare le pertinenti osservazioni emerse dall’indagine che ha commissionato, andando incontro a seccature finanziarie non indifferenti che possono essere aggirate con un po’ buonsenso. Basterebbe notare, per esempio, l’assenza di garanzie da parte del venditore.

Ed è qui che l’esecutore deve riuscire a far trapelare le sue conclusioni, con rispetto e fermezza. Anche per questo condurre un’operazione del genere comporta l’essere equilibrati e sufficientemente prudenti, con una discreta capacità di convincere l’interlocutore (senza mai lasciar trapelare, come del resto richiede la professione, opinioni soggettive): sta per aumentare il suo prestigio o è in procinto di cacciarsi in un ginepraio?

D’altro canto, l’ultima parola spetta sempre a lui, al committente. Le sue logiche imprenditoriali – forse avventate – non si discutono.

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